Mountain GuideFrancesco Salvaterra

MONTE NERO E PRESANELLA by winter: quando andare “in bianco” è un piacere.

 

Un report delle scalate di misto sul versante orientale della Presanella, itinerarari, storia e consigli pratici.

Quando il caldo estivo se ne và, le castagne si cuociono sulla piastra arroventata della cucina economica e le prime nevi imbiancano le cime, nel Trentino occidentale ci sono due posti dove dirigersi per scalare. La valle del Sarca; calcare grigio e giallo, maniche corte, vento nel pomeriggio, arrampicata sportiva o classica in un contesto rilassante. Oppure, se invece si cerca un ambiente più severo di montagna e di misto, le mete d’obbligo sono la Presanella e il Monte Nero. A partire dai primi di ottobre le precipitazioni portano neve che copre le placche di granito rendendo tutto differente, più incerto. Talvolta il manto appare come zucchero a velo, totalmente inconsistente, talvolta come il famigerato “polistirolo”, quando il rigelo opera una trasformazione al punto da incollare la neve ovunque, e le lame delle piccozze cantano a festa.

Verso la cima del monte Nero, nella parte alta del super classico Colouir dell’H.


La val D’Amola

Salendo da Pinzolo i tornanti che portano a Madonna di Campiglio su una svolta si incontra il bivio per la val Nambrone. Una ripida strada porta all’imbocco della val D’Amola, nei pressi dell’omonima malga. Non è una località altisonante e famosa ma piuttosto un angolo del grande gruppo Adamello-Presanella, ricco di pareti grandi e piccole di buon granito grigio; un granito particolare, a grana grossa e con molti quarzi, che porta il nome di Tonalite. La salita più classica, molto remunerativa nell’ordine delle sue difficoltà è la Presanella attraverso la bocchetta del Monte Nero. Nei mesi estivi sono in molti a salire in vetta, che con in suoi 3558 metri si colloca la più alta del Trentino, a partire dall’arrivo dell’autunno però, tutto cambia. Da ottobre ad aprile questa zona è il regno incontrastato della solitudine, dell’arrampicata mista, e sono sempre più gli appassionati attratti dalle esili goulottes dalla parete nord-est del monte Nero.

Non vi sono funivie a stemperare l’ingaggio, l’unico punto di appoggio è il bivacco invernale del rifugio Segantini e il piccolo bivacco Orobica, posto poco sotto la vetta della Presanella.
L’accesso comunque non è dei più lunghi, se la strada non è inagibile per la troppa neve il rifugio Segantini si raggiunge in un’ora di buon cammino; da qui le pareti distano ancora un paio di ore a seconda dell’innevamento. Si tratta comunque di una camminata spesa bene, l’ambiente circostante è di grande fascino: si risale una valle circondata da pareti e creste, sulla sinistra svetta la torre dei Quattro Cantoni, un vero “fessurodromo” ricco di spaccature perfette per gli appassionati degli incastri, sulla destra la più semplice cima Cornisello offre creste classiche mozzafiato. La vista dell’alba che colpisce di luce infuocata la parete est della Presanella è un panorama di decisa bellezza.

Giunti sotto la base delle due pareti, occorre scegliere la propria destinazione.


Monte Nero: misto doc.

La montagna più salita è certamente il Monte Nero, anche se in realtà sono poche le codate che arrivano fino ai 3344 metri della vetta. La scalata più semplice e classica, il coulouir dell’H si conclude infatti ad una spalla e proseguire fino in cima non è facile. Questo itinerario ogni autunno viene preso di mira da molte cordate, si tratta di una scalata su neve e misto, occasionalmente con sezioni di ghiaccio. Le difficoltà non sono estreme ma l’ambiente, la lunghezza dell’itinerario (che raggiunge i 400 metri circa) e la varietà dei passaggi lo rendono un’ascensione molto remunerativa e adatta a familiarizzare con questo ambiente di alta montagna.

Lo step successivo di difficoltà sono la recente Clean Climb e la via Botteri sulla parete est. Queste vie si attestano su un livello medio/difficile, ma sono comunque ben più semplici delle restanti. Le uniche vie a raggiungere la vetta sono Rolling Stones, una via che se in condizioni presenta sezioni su ghiaccio, iniziata molti anni fa e terminata fino in vetta in tempi recenti e la Diretta Solitudine. Quest’ultima è una salita di misto moderno con molte sezioni su roccia ed esili goulottes dove difficilmente si forma del ghiaccio. Difficile ed elegante, questa via è comunque addolcita nell’impegno da soste sicure a fix che permettono un comodo rientro in corda doppia.

Le ultime realizzazzioni sono entrambe monte interessanti: “ballata dei diedri e delle fessure” al monte  Nero, aperta da F. Prati e co. nel novembre 2015 e ripetuta in prima  da A. Margola e C. Migliorini (M6) e “farfalla Tigre” sulla cima dei quattro cantoni (G. Ghezzi e co.) già ripetuta parecchie volte (M6).

Sulla destra la parete digrada, e alcuni canali separano la nord est del Monte Nero dalla est della Presanella. Si tratta di ascensioni di neve paragonabili anche se più brevi alla famosa parete nord della Presanella, mediamente semplici e moderatamente ripide, molte delle quali sono state discese sci ai piedi.


La misteriosa est della Presanella

La parete est della Presanella è una storia a parte. Basta guardarla in foto per capire che l’ambiente è più tosto, che qui non si scherza, insomma. Uno dei grossi problemi di questo versante è proprio l’esposizione: alle sei di mattina la parete è già illuminata con conseguente rialzo termico: in primavera non di rado si verificano slavine e crolli di paurose dimensioni. Tuttavia in autunno e pieno inverno, con il sole più basso non di rado si verificano condizioni accettabili. Una cosa è certa, di queste salite non si trovano gli aggiornamenti delle condizioni sui blog, e nemmeno la traccia fatta, bisogna andare a metterci il naso di persona, qui il successo è tutt’altro che scontato non a caso nonostante alcuni tentativi queste salite sono quasi tutte irripetute.

Uno sguardo alla parete più severa del gruppo: la Est della Presanella.

Le vie sull’Himalayana parete est sono terreno d’avventura di serio imegno tecnico e morale, più brevi ma impegnative di grandi classiche come la classica Schmidt alla nord del Cervino.


INFORMAZIONI TECNICHE

Vedi anche i seguenti articoli dello stesso autore.

-Nuove vie di ghiaccio e misto sul Monte Nero e Monte Bianco di Presanella 13.11.2014 di Planetmountain

-Monte Nero di Presanella secondo Claudio Miglionini, Planetmountain.

-Presanella Parete est, le vie. Planetmountain.

-Via Sogni di gloria Punta Angelo.

Accesso stradale: Dalla strada statale che da Pinzolo porta a Madonna di Campiglio in prossimità di un tornante prendere la strada, indicata da cartello, che sale in Val Nambrone e seguire le indicazioni per il rifugio Segantini. Attenzione: Non sempre la strada è agibile, chiedere info alle guide o/e a Egidio Bonapace gestore del rifugio Segantini. Se la strada è chiusa a livello del Rifugio Nambrone calcolare tre ore di marcia per il rifugio Segantini, se invece si arriva fino al parcheggio estivo si impiega un’ora. Il rifugio Segantini è provvisto di un comodo locale invernale sempre aperto con dodici posti letto e coperte. Dal Segantini alla base del Monte Nero calcolare almeno due ore, per arrivare alla base della est della Presanella occorrono circa tre ore.

Rientro: Per le vie sulla Presanella e il Colouir dell’H giunti alla fine della via si scende lungo la normale alla Presanella dalla bocchetta del Monte Nero, un percorso con due tratti attrezzati con cordini di acciaio (info dettagliate qui http://escursionismo360.blogspot.it/2013/02/presanella-dal-monte-nero.html. Se invece si sale in vetta al monte Nero conviene scendere in corda doppia dalla Diretta Solitudine (soste attrezzate ogni 60 metri, vantaggio di poter lasciare materiale alla base).

Materiale: Classico da ghiaccio, sono sufficienti 3 o 4 viti visto che di rado e solo su alcune vie si forma ghiaccio. Una scelta di friends e nuts ed eventualmente qualche chiodo da roccia. Talvolta sono necessarie racchette da neve o sci da alpinismo per effettuare l’avvicinamento.


STORIA

Monte Nero

Le prime attenzioni al Monte Nero sono state rivolte alle scalate in roccia. La prima salita è datata 1892, la via individuata da A. Gstirner e L. Caola sulla parete est è all’oggi pressochè sconosciuta. Seguono varie esplorazioni, come su buona parte delle montagne delle Alpi, alpinisti avventurieri si spingono su ogni cresta e ogni versante della montagna, aprendo vie difficili con pochissimi chiodi e dichiarando difficoltà di IV e V grado oggi rivalutate verso l’alto dai pochi ripetitori. Purtroppo in questa zona come in altre capita che alpinisti hanno ripercorso questi itinerari madificandone la natura con chiodature a fix o prendendosi il merito della prima salita.
Dopo le scalate più ardite degli anni 60 sulla ripida parete nord est si apre l’era del misto e delle scalate invernali con la prima salita del Colouir dell’H; da parte di Bazzani, Fausto De Stefani e Santus nel 79′.

Rolling Stones è una linea che ha ricevuto molte attenzioni, più o meno nel 2005 Demis Lorenzi, Giovanni Ghezzi e Antonio Prestini hanno effettuato un serio tentativo scalando parecchie lunghezze per poi però tornare sui loro passi attrezzando alcune soste. Alcuni anni dopo Patrick Ghezzi e Francesco Prati hanno salito la via fino alla cresta, ossia collegandosi con un precedente itinerario quindi per i criteri che personalmente ho adottato (ossia quelli scelti da Rolando Garibotti nella guida Patagonia Vertical) hanno aperto una variante alla cresta sud-ovest. La prima salita fino in vetta è di Andrea Reboldi e Claudio Migliorini del 4/11 2013.

Il 14 novembre del 2013 A.Reboldi, C. Migliorini e S.Moretti hanno salito una via di misto sulla parete sud intitolandola “via per te fatta in tre”, in realtà a un esame della guida alpinistica redatta da Dante Ongari per il T.C.I. hanno salito una via di roccia di 4° aperta da M.,M.,e R. Botteri nel lontano 18 settembre 1946. Si tratta comunque di una interessante interpretazione invernale della via Botteri. Trattandosi di un itinerario relativamente facile la mancanza di materiale in loco deve aver tratto in inganno i tre scalatori, cosa che comunque non si verificherà più perchè nel luglio 2015 A.Botteri e D. Ortolani hanno spittato questo itinerario sia alle soste che sui tiri.

La Diretta Solitudine alla parete ovest è stata tentata nel novembre 2011 da J.Pellizzari e F.Salvaterra, dopo l’apertura di 5 tiri sono scesi per via del brutto tempo. Nel 2013 F.Prati, P. Ghezzi e M.Dezulian all’oscuro del precedente tentativo hanno scalato tre lunghezze per poi scendere sempre scacciati da valanghe e spindrift. La via è stata ultimata con una salita in giornata da J.Pellizzari e F.Salvaterra il 29 ottobre 2014.
Altre bellissime salite da menzionare sono “Wind of Change” di P. Ghezzi e G.Venturelli e la recente “Clean Climb” ad opera di D. Lorenzi e G. Ghezzi. Altre info sopra.

 

Presanella

Non è dato sapere se qualche cacciatore di camosci si sia spinto fino in vetta alla cima più alta del Trentino molti anni addietro, certo è che la prima salita documentata della Presanella (da quella che è poi divenuta la via normale dalla val di Sole) fu portata a termine nel 1864 dai nobili inglesi D.W. Freshfield, M.Beachcroft e I.D.Walker con le guide Devouassoud e Delpero. Salita “soffiata” di solo un giorno al geografo militare Pajer salito invece da val Rocchette con la guida Botteri.

La prima salita della parete est deve aspettare i primi del 900. Una mattina del 30 luglio 1909 V. Bonfilioli con A. Collini si presentarono alla base della parete tracciando poi un itinerario che per l’epoca e i materiali utilizzati è da ritenersi un grande exploit. Su questa salita non si ha quasi nessuna notizia se non che impiegarono 9 ore per arrivare in vetta. ll vero “problema” della parete centrale però restò irrisolto fino all’8 settembre 1949, quando le guide alpine G.Alimonta, C.Detassis, S. Serafini ed N.Vidi, capitanati dal grande Bruno Detassis salirono in giornata la via delle guide. Questa è la “classica” della parete, una salita di roccia fino al 5+ che si mantiene impegnativa tutt’ora e con ogni probabilità non raggiunge le venti ripetizioni. La via è stata salita in una dura prima invernale durata tre giorni da F. Gadotti, G. Cataloni e M.Zandonella (4-6/1/75) ed in prima solitaria con una variante nuova nella parte alta dallo stesso Gadotti il 6 settembre del 74.

Alice in Wonderland: Una via che aspetta ancora la prima ripetizione.

Nonostante la parete sia vasta e ben visibile dal fondovalle la est rimane nell’oblio, nella stagione estiva qualcuno ripete saltuariamente la via delle Guide e vengono aperte un paio di varianti (prima da Maurizio Giarolli con un giovane cliente poi, molti anni dopo da Gianni Trepin e co.) ma nulla più. Finchè, nel pieno inverno del 2011 tre ragazzi si presentano in giacca da snowboard e zaini giganti alla base della ripida parete centrale (Alice in Wonderland 500m M6, irripetuta). Da menzionare un importante variante alla Alice in Wonderland aperta dai fratelli Franchini nel 2013, l’initerario segue i primi tiri del diedro Trepin per poi scalare 3 lunghezze di Alice in Wonderland e proseguire dritta per una linea ideale (Linea del tempo 500m M6 VII 200m nuovi). Sempre nel 2013 Patrick Ghezzi e Franz Salvaterra aprono una variante alla Bonfilioli Collini (Depravation 250m M6/A1)

Recentemente, nel dicembre 2015 è stata salita per la prima volta in stile di misto moderno da Giordano Faletti, Alessandro Lucchi e Alessio Miori, che la descrivono come una bellissima scalata di misto. Nei giorni successivi è stata scalata da almeno altre due cordate, tutte però dalla cengia centrale hanno evitato l’itineratio originale deviando a destra.

L’ultima nata della parete è una via di primordine: via Martino, aperta da Patrick Ghezzi in solitaria. La via sale parallela e a sx della Bonfilioli-Collini, aperta il 17 novembre 2015 la via segue dapprima una bellissima colata di ghiaccio per poi proseguire per pendii e si conclude in una goulottes tra diedri. Grado WI4 M5.

NOTA: Per scalare su misto interessante in un ambinete alpino non occorre camminare delle ore, vedi le vie su Punta Angelo, Punta Teresa. Notevoli le possibilità di reinterpretare in chiave invernale vecchie vie di roccia.

 

ALICE IN WONDERLAND
Tre sognatori dispersi nel bianco mondo di Alice.

Non ricordo bene come sia nata in noi l’idea di provare una via nuova sulla est della Presanella, l’avventura che abbiamo passato in parete invece è di quelle indelebili.
E’ gennaio del 2011, la strada è bloccata da una valanga ancora all’inizio della valle e ci ritroviamo a battere la traccia sulla neve fresca. I miei compagni e amici sono Marco Fedrizzi e Luca Tamburini, mettendo assieme i nostri anni arriviamo a stento a sessanta, ed anche la nostra esperienza alpinistica è agli albori. La prima giornata ci vede varcare sfiniti la porta del bivacco invernale del rifugio Segantini dopo cinque ore passate a ciaspolare nella neve polverosa. Dopo una bella cena innaffiata di vino (Luca ha portato con se anche una bottiglia di Marzemino) siamo di nuovo carichi e motivati per il nostro progetto. Abbiamo con noi sacchi a pelo pesanti e cibo per tre giorni, l’idea è di seguire una linea diretta e bivaccare una notte in parete. Per noi è tutto nuovo, non abbiamo mai affrontato una salita invernale. Il giorno successivo partiamo prestissimo e impieghiamo quattro ore per arrivare alla base del diedro nascosto dove inizia la nostra via. Le condizioni non sono buone, tutto è ammantato di neve farinosa dove le piccozze non fanno la minima presa.
Per procedere quindi occorre grattare e scavare finché si sente che la punta della becca si aggancia da qualche parte, e a quel punto fidarsi a tirarla. Siamo piuttosto lenti ma piano piano proseguiamo, seguendo una cresta fino a una piastra di granito ripida e difficile.
Un diedro verticale sembra l’unica possibilità di passare, a metà si trova incastrato un gigante “menhir” di granito e per proseguire lo cavalchiamo pinzandolo con braccia e talloni.
Su questo tiro ci appendiamo anche a qualche friends per aiutarci, gli zaini pesanti si fanno sentire.
Ed eccoci alla cengia centrale, circa a metà parete. Abbiamo un momento di indecisione: fa freddo, il cielo coperto non promette nulla di buono, è tardi e l’idea di bivaccare in parete seduti su un gradino di neve semplicemente ci terrorizza.
Non potremmo farcela ad uscire oggi dalla linea diretta che avevamo in mente ma, sulla sinistra sembra che ci sia un’alternativa: un diedro non troppo ripido che porta sulla cresta a sinistra della vetta. Dopo un rapido briefing decidiamo di tenere duro e dirigerci da quella parte.
Il nevaio centrale non è molto ripido ma non si riesce ad assicurarsi quasi mai quindi proseguiamo con circospezione. Ripreso il granito alla base del diedro piantiamo un chiodo e facciamo una pausa, il thè è diventato granita anche all’interno del thermos. Luca ci fa notare che si sente un calippo, il noto gelato, e a giudicare dalle sue labbra blu non sta esagerando, lo dice ridendo e accendendosi l’ennesima marlboro con un accendino da cucina lungo almeno quaranta centimetri. La vicinanza con la cresta e la fine del senso di smarrimento che ci incute questa parete ci da la carica per salire gli ultimi due tiri. Sull’ultima lunghezza cala il buio e inizia a soffiare un vento fortissimo che provenendo dall’altro versante fa rotore sulla cresta e ci spinge addosso mulinelli di neve polverosa. Mi ritrovo senza luce frontale a scavare nella cornice sommitale, un muro bianco più alto di me e temo che da un momento all’alto mi crolli addosso, invece un poco alla volta scavo una sorta di trincea strettissima che mi permette di passare sulla dimensione orizzontale del versante opposto. Ci siamo: il bivacco Orobica è a poche decine di metri sotto di noi e in breve ci crolliamo all’interno tutti e tre. Siamo sfiniti ma al settimo cielo: abbiamo aperto una via nuova in inverno sulla montagna più alta di casa nostra e Marco ci svela che nello zaino ha una bottiglietta di plastica da mezzo litro quasi piena di grappa, che certamente non si sarà congelata…

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