Mountain GuideFrancesco Salvaterra

Traversata Rochefort-Jorasses.

Agosto 2023, assieme a Piero Onorati.

Da tanti anni sognavo di ripetere la traversata delle Jorasses. E’una di quelle salite mitiche, con cui prima o poi ci si vuole misurare.

In passato l’avevo programmata con altri clienti ma per un motivo o per l’altro è sempre sfuggita.

Già l’anno scorso con Piero se ne era parlato ma non è andata in porto. Questa estate, dopo tre tentativi precedenti di fissare la giornata, andati a monte per il meteo insicuro, si è finalmente presentata l’occasione giusta.

Appena dopo ferragosto si preannuncia meteo stabile, assenza di vento e alte temperature. Io sono ben riposato perché alla festa delle guide non lavoro mai e la motivazione è alle stelle per entrambi.

D’accordo farla, ma come? E’ una salita che si presta a differenti strategie logistiche. Una scelta non preclude l’altra, l’ideale è adattarle in base alla cordata, alla meteo e al tempo che si ha a disposizione.

Questa volta abbiamo la possibilità di raggiungere la Skyway prima che chiuda e il rifugio ha posto, decidiamo quindi di andare a dormire al Torino.

Non siamo una cordata velocissima, sappiamo di andare a un ritmo medio ma costante, ci conosciamo da parecchio. Le ore di luce sono 14 e comunque possiamo scalare anche al buio. In passato non ho mai fatto la cresta dall’Aguille de Rochefort in poi però conosco la normale della punta Walker per averla scesa dopo lo sperone Walker un paio d’anni prima.

Scartiamo subito la scelta di dormire al Canzio perché ci arriveremmo ancora presto e non ci entusiasma l’idea di fare al freddo il tratto più difficile. Potremmo bivaccare sulla punta Whymper ma decidiamo di stare leggeri e agili riducendo al minimo lo zaino, la meta fin dal principio è il rifugio Boccalatte.

Questo è quello che portiamo: una corda singola da 60 metri, 2 viti, 5 rinvii, 4 friends fino al rosso, una picca a testa, ramponi, qualche fettuccia e moschettone, un fornello, due liofilizzati e cibo per la giornata, 1 litro di acqua a testa, un sacco da bivacco da due.

Il rifugio è abbastanza pieno ma si sta comunque bene, la stanza delle guide invece è stranamente poco affollata. La sveglia suona alle una ma avrebbe potuto anche farlo a mezzanotte perché non ho dormito molto, strano. Alle 1.45 partiamo.

Passo lento e cadenzato, la giornata sarà lunga. La notte buia ci avvolge, la luna è decisamente al minimo. Non è male scalare al buio ma servono tutti i sensi all’erta, anche un buon frontalino e la traccia sul navigatore del cellulare aiutano. Per arrivare alla gengiva seguiamo il sentierino e le ramponate sulla roccia, teniamo i ramponi ma avremmo fatto meglio a toglierli, il tratto roccioso è lungo. Sul primo risalto prima dell’Aguille hanno messo una corda fissa di una quarantina di metri che un paio d’anni fa non c’era. Con le prime luci arriviamo sul Dom, un vento freddo e fastidioso da nord ci da parecchio fastidio. Una cresta affilata porta alla Calotte de Rocheford e poco dopo alle prime due doppie, la seconda delle quali strapiombante. Da una cupola tondeggiante con sosta a fix ci siamo calati sulla verticale per 5 doppie. La prima lunga 30m giusti fino a una sosta a chiodi, le altre 4 più brevi su spuntoni. E siamo al Col des Grandes Jorasses, sono le 9.30. Il bivacco Canzio sembra accogliente e spazioso, ci concediamo una pausa nel suo ventre riparato per una ventina di minuti. Sulla Punta Young seguiamo la relazione della nuova richiodatura di pochi anni fa, che è poi lo stesso tracciato della guida Vallot. Il primo tratto non è semplicissimo da trovare ma poi è più evidente. Devo dire che può starci il grado storico di IV che si è sempre dato a questa cresta. Un IV con gli scarponi non è facile ma non giustifica di aumentarne il grado. Non leggiamo la relazione passo per passo e la salita alla Punta Margherita ci risulta spontanea alla vista: bisogna salire un evidente canale che anticipa la punta, evitando di salire fino alla sua forcella a sinistra, che pare arcigna. In cima a questo canale si arriva a un colletto, esattamente alla stessa altezza ma una ventina di metri più a Est c’è un buon terrazzino da bivacco, con muro a secco. E’ il primo posto comodo dal Canzio per dormire. Passare la punta Elena e raggiungere i facili sfasciumi rossastri della punta Croz ci oppone uno dei tratti più impegnativi da gestire. Una cresta affilata da fare in discesa, con qualche breve calata obliqua ma perlopiù disarrampicando in notevole esposizione. Finita la pinna di squalo il gioco è fatto, siamo in vetta alla Whymper alle 16.30. Qui si trova un bel terrazzino piano relativamente riparato, non molto grande. Dopo una pausa proseguiamo, vediamo delle cordate in uscita dallo sperone Walker. Arriviamo alla cupola finale della nostra traversata alle 17.30, un abbraccio, un selfie e inizia la discesa. Per passare da ghiacciaio a ghiacciaio ci facciamo un piacevole trekking su sfasciumi, giusto prima della vasca sotto il seracco. Quattro doppie di max 25m ci fanno scendere la sezione sulle rocce dello sperone Whymper e ci depositano sulla seconda traversata. C’è una traccia vecchia bassa e una recente alta. Sbagliando prendiamo quella bassa, che ci porta a due passi dal muro del Reposoir ma senza la possibilità di montarci sopra, in alto un groviglio di seracchi, al lato il ghiaccio troppo staccato dalla roccia. Sul margine inferiore del ghiacciaio riusciamo a saltare su un fungo di neve e scalare il versante roccioso, con un tiro non facile. Arriviamo in cima al Reposoir con le ultime luci, l’ultimo tratto mi ha stressato parecchio.

Dopo una pausa ci guardiamo: “Piero, ora bisogna stare attenti e andare piano, piuttosto ci fermiamo qui”. Mentre io sono partito a mille e ora sono abbastanza stanco lui sembra tranquillo, stanco ma con ampio margine.

Più che a corda corta proseguiamo a brevi tiri arrampicando alternati in discesa, fino al primo ancoraggio con fix e catena. Sono sei corde doppie di massimo 25 metri, tutte leggermente sfalsate a destra faccia a valle. Qui per un pelo non dobbiamo fermarci a dormire perché non troviamo più le tracce sulla neve. Gironzolo un po’ fino a trovare un ancoraggio di fortuna con un cordino fisso che porta al ghiacciaio, fortunatamente ben tracciato. Un po’ di slalom tra molti crepacci ci depositano sulle placche montonate del Rognon de la Bouteille. Saremmo a posto salvo il fatto che non abbiamo più delle impronte da seguire e non ci sono molti ometti a segnare la traccia che porta al Boccalatte.

Con le ultime luci del frontalino riusciamo a trovare il canapone che porta al rifugio, alle 23.30 ci infiliamo in una cuccetta e senza bere ne mangiare, ci addormentiamo alla grande.

Siamo in parecchi ad aver trovato riparo nel piccolo rifugio diventato bivacco per carenza di gestori, ma alle 9 di mattino i più se ne sono già andati, chi verso l’alto, chi verso il basso. Due ragazzi di Milano hanno appena fatto la cresta di Tronchey, un’altro bel viaggio a giudicare dal loro racconto.

Facciamo colazione assieme con dell’acqua trovata in una cisterna e prepariamo un buon thè con quel che ci avanza, grana, pane, frutta secca, una colazione di lusso.

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